Ed eccomi qui, con gli Alter Bridge
nelle orecchie, pronta per una recensione che spero sia quantomeno
obiettiva all'inizio, perché si sa, quando poi occorre parlare del
gradimento personale, è logico che l'imparzialità sfumi e vada via.
Ribadisco, per chi non lo sapesse e per
chi non mi conosce, che non sono una fan della Austen, non l'adoro
per nulla. I miei generi e autori preferiti sono altri, e spero un
giorno di parlare dei quindici romanzi che amo.
L'ho letto per la prima volta in
italiano quest'estate, grazie all'iniziativa promossa dalla Newton
dei famosi libri a novantanove centesimi e, sebbene si possano fare
critiche a livello di traduzione – eh, cosa vi aspettate da una che
a momenti parla meglio l'inglese dell'italiano? – o anche per la
copertina, la carta e qualsiasi altra cosa, il prezzo relativamente
basso permette di dire di aver trovato un romanzo “classico”
regalato. Lo avevo letto al liceo in inglese, ma dato che lo studio
mi sta prendendo molto tempo ed energie, non avevo proprio le forze
per leggere tutto due volte, in inglese e in italiano, per fare
confronti, cosa che adoro fare.
Si tratta di un romanzo epistolare
narrato in quarantuno lettere (non è la prima volta che leggo questo
sottogenere, anzi, uno dei miei romanzi preferiti – I dolori del
giovane Werther – lo è, come anche Le ultime lettere di
Jacopo Ortis, Le relazioni pericolose, Julie o la nuova
Eloisa, Iperione, Va' dove ti porta il cuore) e la
protagonista è colei che dà nome al romanzo stesso, una donna senza
scrupoli, arguta e spregiudicata, che non esita a sfruttare tutti i
mezzi a sua disposizione per far sì che i suoi obiettivi siano
raggiunti. Occorre aggiungere il “pregio” da lei posseduto,
ovvero la capacità di manipolare la gente – inclusa sua figlia,
che odia e che viene a mio dire trattata da sua madre come una merce
di scambio per chissà quale compravendita – ed è degno di nota,
così come anche la sua attitudine a saper distorcere la realtà con
i suoi modi di fare, senz'altro attraenti, dato che riescono a
imbambolare parecchia gente, specie gli uomini.
Ella si confida con la sua amica Alicia
in una serie di carteggi molto diretti, all'interno dei quali si
leggono molto chiaramente i suoi disegni, i suoi raggiri, le
manipolazioni, raccontati in modo diretto, attestanti la sua natura
fredda, cinica e calcolatrice.
In questo mondo borghese e da salotto,
ecco che Lady Susan tesse e ordisce le sue trame, ma non dico di più,
perché non so se lo avete letto o meno.
Susan è stata paragonata per antipatia
a Rossella O'Hara oppure a Dolores Umbridge (per chi ama la saga
potteriana, e non figuro nemmeno in questa categoria di persone, pur
rispettandole), ma non sono d'accordo, perché la prima anche se
agisce in un modo di fare che non condivido, lo fa per amore,
lasciando che il suo impeto e il suo sentimento possa sempre
emergere, mentre la seconda è sì antipatica, ma non suggerisce la
stessa antipatia di Lady Susan, perché a quanto ricordo, la Umbridge
non è così manipolatrice come la donna creata dalla Austen. Se
proprio si vuol fare un azzardo potteriano, io direi al massimo Rita
Skeeter, colei che distorce tutte le informazioni per raggiungere i
suoi scopi editoriali e non solo.
Mi sembra già un paragone più giusto,
ma è solo il mio parere da petulante lettrice.
La donna che vedo più simile a Susan,
però, è una ragazza, tratteggiata da Philip Roth – sì, è uno
dei miei romanzieri preferiti – in Ho sposato un comunista,
Sylphid Frame, figliastra del protagonista, Iron Rinn.
Questa ragazza pare Susan da giovane,
con la differenza che con i suoi modi di fare è lei che plagia e
plasma sua madre, Eve, trattandola malissimo, cercando di avere le
sue attenzioni, al punto da istigare la madre a rovinare Iron, colui
che l'aveva amata per davvero e che Sylphid vedeva come una minaccia.
Il modo di agire di Sylphid, fatto da
moine, gesti da melodramma, capaci di muovere e commuovere la gente –
tranne Iron, che vedeva come trattava la madre –, in primis Eve di
modo che si facesse solo ciò che voleva lei, mi ha disarmata, con la
differenza che Roth, da cinico (e dalle attitudini pessimiste che in
parte condivido) non danno un epilogo diciamo lieto rispetto a quello
che la Austen dà al suo primo romanzo, definito spesso sperimentale.
Quando leggo un romanzo, spesso mi dico e mi chiedo "c'è qualcuno che conosco che ha il nome del/la protagonista?", perché nel caso, prima di avventurarmi nel mondo fatto di parole, devo prima spogliarmi dei giudizi e dei preconcetti che potrei avere su quella persona che non mi permetterebbe di essere imparziale e di lasciarmi coinvolgere appieno dalla storia.
Non conoscendo nessuna Susanna, Susan o altro, non ho avuto questo pregiudizio, ma leggendo e scoprendo la Susan della Austen, sono riuscita a contestualizzare il fatto che donne così esistono anche nel nostro quotidiano e io ne conosco quattro, che hanno fattezze caratteriali simili a Lady Susan.
Come dicevo già, una è mia nonna paterna (con la quale non ho un rapporto affettivo e posso dire che da piccola ho provato a cercare di farmi voler bene, cosa che poi, da grande, ho capito che non devo più fare con nessuno) e le altre sono... diciamo solo due ex compagne di scuola e quella strega che ha mutato colui che pensavo fosse il mio Marc Darcy in un Daniel Cleaver. Razza crudele.
Do dunque il merito alla Austen di aver tratteggiato una donna che è possibile riscontrare e trovare anche attualmente, se non peggiorata, data la società attuale e da qui ho pensato: ma è mai possibile che l'umanità sia sempre rimasta la stessa anche negli atteggiamenti?
Da un romanzo per me "leggero", trovo anche modo di riflettere e questa cosa mi garba punto.
Questo romanzo lascia presagire ciò
che la scrittrice inglese darà ai suoi romanzi, ovvero l'arguzia tipica dei suoi personaggi femminili e quant'altro, però perché a me non piace?
Sarà per l'ambientazione e il contesto storico che mi pare limitato (okay, è quello in cui l'autrice vive e agisce e sono la prima a dire che si può scrivere di ciò che si sa), ma non so, le città di provincia, le chiacchiere da donne le cui uniche ambizioni paiono essere "cercare un marito e avere una sfilza di bambini" (non tutte ovviamente, è un discorso generale quello che sto facendo), non mi permettono forse di apprezzare quest'autrice, le cui parole e le cui eroine non mi suggeriscono assolutamente nulla.
Che dire? Nemmeno lo stile è uno dei miei preferiti. E questa è una cosa per me assoluta e assolutamente opinabile per chi non la pensa come me. Per dire, preferisco di gran lunga Cime Tempestose, se devo citare un romanzo dell'epoca, ma non è che vada pazza di esso.
Si tratta semplicemente del mio carattere e del mio modo di fare, ma consiglio comunque la lettura di questo libro perché è pur sempre lo specchio di una parte limitata del contesto storico e sociale del tempo e dà quindi un riflesso del mondo femminile vissuto dalla donna ancor prima di essere scrittrice.
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